martedì 21 ottobre 2014

mostra Giovanni Segantini

Giovanni Segantini
ritorno a Milano
Milano, Palazzo Reale
18 settembre 2014 - 18 marzo 2015


A Milano, dal 18 settembre 2014 al 18 marzo 2015, Palazzo Reale ospita un’altra bella mostra: quella dedicata a Giovanni Segantini.
L'esposizione, in cui sono raccolte 120 opere, è una delle più importanti dedicate all’artista, per il fatto che è difficile vedere riunito un cospicuo numero delle stesse (distribuite generalmente tra collezioni, musei, istituzioni pubbliche e private spesso piuttosto restie al prestito) e in considerazione dell’esiguo numero di lavori prodotti da Segantini nei suoi 41 anni di vita.
Giovanni Segantini nasce ad Arco di Trento nel 1885, cittadina allora sotto il dominio dell’impero austro-ungarico. All’età di sette anni rimane orfano di entrambi i genitori e viene allevato a Milano da una sorellastra, che in realtà si cura poco di lui. Arrestato per vagabondaggio, viene internato nel 1871 al riformatorio Marchiondi, dal quale tenta inutilmente di fuggire, finchè un fratellastro lo prende sotto la propria tutela.  Nel 1874 si iscrive ai corsi serali dell’Accademia di Brera e va a lavorare come garzone a bottega di un artigiano decoratore, finché nel 1879 un suo lavoro (Il coro della chiesa di Sant’Antonio), esposto assieme ad altri alla rassegna annuale di Brera, viene notato dal mercante d’arte Vittore Grubicy de Dragon. Da allora prende il via la carriera artistica di quest’uomo che saprà creare di sé stesso un mito, e di cui la morte avvenuta troppo presto, ha contribuito ad alimentare.
La mostra  e’ suddivisa in sezioni tematiche che focalizzano l’attenzione sul percorso creativo segantiniano in base ai soggetti ai quali si è dedicato nel corso della sua breve vita. Si apre con una serie di autoritratti che documentano la percezione del  sé dell’artista, la consapevolezza del suo valore e del suo mito. Alla componente grafica fanno da complemento due  sculture: quella  in cui il pittore e’ ritratto ventenne, realizzato  dallo scultore Emilio Quadrelli, e quella  di Segantini come maturo e affermato artista, di Paul Troubetzkoy.
La prima sezione è dedicata agli esordi, con tele aventi per soggetto scorci di Milano ove il pittore aveva lo studio (Il naviglio di Ponte San Marco, Passeggiata sul Naviglio), e scene di genere tipiche della pittura dell’800. Si passa poi alla sezione dedicata ai pochi ritratti realizzati da Segantini nel corso della carriera, come quello della Signora Torelli - Vollier, moglie del fondatore del Corriere della Sera, e della madre del collezionista Casiraghi (Ritratto della Sig.ra Casiraghi).
La terza sezione riunisce opere in cui protagonista e’ il tema della morte, soggetto tipico dell’arte simbolista e decadentista, tra le quali spiccano Ritratto d’uomo sul letto di morte e Ritratto di Carlo Rotta, realizzato quest’ultimo con la tecnica divisionista.
Un’altra sezione è dedicata al tema delle nature morte, che dopo un po’ di anni abbandonerà, per dedicarsi completamente ai soggetti tipici: la pittura agreste, contadini e animali in simbiosi con lo scenario naturale brianteo inizialmente, e poi quello alpino.
Infatti  le sezioni successive portano a cuore dell’arte di Giovanni Segantini.
Lasciata Milano nel 1881, egli si trasferisce con la compagna Bice Bugatti in Brianza, dove nascerà il figlio Gottardo. L’esordio artistico legato alla scapigliatura Milanese è ben presto abbandonato (e poi rinnegato), alla ricerca di un ambiente personale a contatto con la natura, ove trovare i propri temi cui dedicare la sua pittura. Li trova infatti negli scenari agresti e nei contadini della Brianza, prima, e in quelli montani e alpini, in seguito.  Questi soggetti sono protagonisti delle opere della sezione “Natura e vita dei campi”, con La raccolta dei bozzoli, Dopo il temporale, Vacca Bagnata, L’ultima fatica del giorno, I miei modelli, e nei grandi paesaggi, come il famoso Alla stanga, acquistato ben presto dal governo italiano e realizzato en plain air presso i pascoli montani di Caglio.
“Sentimento e spiritualità” è la sezione ove sono presenti le opere A messa prima  (quadro poi modificato con un differente significato allegorico), e alcune versioni dell’opera Ave Maria a trasbordo corredate da disegni preparatori, in cui la spiritualità semplice e vera dei contadini, memore delle atmosfere di Millett, viene rievocata attraverso il cambiamento di tecnica: mediante il divisionismo, infatti,  si fa portatrice di un contenuto spirituale- simbolico, che trascende quello reale dell’immagine presentata.  Altre due sezioni sono dedicate ai disegni tratti dai dipinti - che servivano  a colmare il vuoto lasciato dalle vendite, a documentare  il cambiamento di tecnica e di stile, oltre che allargare il mercato collezionistico - e ai disegni per illustrazioni di libri o di opere letterarie.
Segantini nel 1886 lascia la Brianza per trasferirsi a Savognino, nei Grigioni, e diverse opere sono ambientate nelle Alpi Svizzere, per poi trovare altra definitiva sistemazione a quote più alte, nel 1894, nell’Engadina, dove il suo animo trovava maggiore soddisfazione.  Fondamentale in questi anni fu la scoperta della tecnica dell’applicazione del colore diviso, non mescolato, ma applicato puro sulla tela, con stesure filamentose. E’ con la tecnica divisionista, considerata moderna, che i divisionisti partecipano alla Prima Triennale di Brera del 1891, ove Segantini presenta l’opera Le due madri: la maternità è l’elemento comune alla donna con il bimbo e alla vacca con il vitello, in cui l’elemento unificante della appartenenza alla natura vuole essere il reale significato dell’opera. Lo stesso discorso vale per Pascoli di primavera, pure in mostra.
L’evoluzione del pensiero segantiniano prosegue con le opere delle sezioni di chiusura:
 la prima è dedicata al Trittico dell’Engadina, superba opera del suo simbolismo, in cui i monumentali  paesaggi  dell’Engadina ritratti in primavera, autunno, e inverno  rappresentano le fasi della vita e il panteismo segantiniano, ove emerge  il credo in una religiosità laica della natura (in mostra solo alcuni studi preparatori e un video di descrizione dell’opera);
 la seconda, invece è  dedicata alle opere visionarie e allegoriche facenti parti del Ciclo delle Cattive Madri, dove la maternità negata o rifiutata costituisce elemento di dannazione, in contrasto con la maternità laica del quadro L’angelo della vita. Qui la maternità acquista una dimensione di sacralità laica connessa alla sua naturalità, per il fatto di contribuire al ciclo stesso della vita. Esso è caratterizzato dalla luminosità del colore diviso e dall’applicazione di pigmenti d’oro e d’argento, che lo rendono uno dei migliori esiti del simbolismo di Segantini.
Con Angelo alle fonti della vita (che si avvicina al movimento inglese preraffaellita per il suo linearismo e per lo stile dei soggetti) si chiude la mostra, lasciando un po’ d’amarezza per la morte, avvenuta troppo presto, per questo artista che nel contatto con la natura ad alte quote cercava l’ispirazione per trasformare in arte il suo personale sentire: proprio lì, su quelle montagne, colpito da un attacco di peritonite è morto mentre lavorava sul Trittico dell’Engadina, nel 1899.
Segantini fu un mito del suo tempo. Egli grazie alle vicende personali, alla propria arte, allo stile di vita, seppe creare un immagine di sé molto vicina al concetto moderno di  “divo”. Con il XX secolo, tuttavia questo mito si offuscò, ma non ha mai perso tutto il suo fascino e il suo valore. E la mostra in oggetto  lo conferma.
Il catalogo di accompagnamento, con le bellissime illustrazioni delle opere esposte, e' stato realizzato dalla casa editrice Skyra, e tra i saggi spiccano in particolare quelli della maggiore studiosa dell'opera segantiniana, la critica d'arte Annie Paul Quinsac.

A. L. 

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